WARHOL fino al 28 settembre in mostra a Roma

WARHOL fino al 28 settembre in mostra a Roma

Arriva a Roma la prima grande monografica dedicata al padre della Pop Art, Andy Warhol
Fino al 28 settembre 2014 al Museo Fondazione Roma, Palazzo Cipolla saranno esposte 150 opere dellʼartista americano, provenienti dalla The Brant Foundation, di cui è fondatore e Presidente il curatore della mostra Peter Brant, amico di Warhol e noto collezionista.
La mostra racconta tutto il percorso professionale di Warhol, presentandone i capolavori di ogni periodo artistico: come scrive Francesco Bonami nel suo saggio in catalogo (edito da 24 ORE Cultura), “la mostra è unʼoccasione rarissima per il pubblico di poter vedere uno dei gruppi di opere più importanti dellʼartista americano (…) raccolto non da un semplice, per quanto appassionato, collezionista ma da un personaggio, Peter Brant, intimo amico di Warhol con il quale ha condiviso gli anni artisticamente e culturalmente più vivaci della New York degli anni ʻ60 e ʻ70”.
Il percorso della mostra si avvia negli anni Cinquanta, quando Warhol debutta nella commercial art e presto lavora come illustratore per riviste prestigiose (da Harperʼs Bazar al sofisticato New Yorker) e come disegnatore pubblicitario. E proprio dal lavoro per un famoso negozio di scarpe trarrà lʼidea delle incantevoli scarpette a foglia dʼoro che aprono la mostra insieme ad alcuni esempi di Blotted line, con quel tipico segno gracile e interrotto, frutto del caso più che della volontà dellʼautore.
È però una coloratissima e precoce Liz del 1963 a introdurre alla sala successiva dove si annunciano le prime Campbellʼs Sup e Coke, insieme a Disaster (Warhol coltivò un forte rapporto di attrazione e repulsione per la morte). Ma poiché le Collezioni Brant sono eccezionalmente ricche – di opere pittoriche soprattutto ma anche di importanti disegni – si può dire che non ci sia tema tra quelli trattati da Warhol che non sia rappresentato ai massimi livelli: ci sono i dipinti dei francobolli, come S&H Green Stamps, 1962, fatti con stampini ripetuti e più e più volte sulla carta (lʼiterazione è uno dei codici linguistici prediletti di Warhol perché rende semanticamente più “neutro” il soggetto) e, dello stesso anno, i Red Elvis e il grandioso 192 One Dollar Bills; così come ci sono due splendide Marilyn, una del 1962 – lei appena morta – e una delle 4 Shot Marilyn del 1964, i dipinti trapassati in fronte dal colpo di pistola sparato in studio da unʼamica del fotografo Billy Name.
Così pure saranno presenti in mostra altre super icone di Warhol: le Brillo Box e i primi Flowers, 1964, esposte a suo tempo nella prestigiosa galleria di Leo Castelli come se fossero sgargianti carte da parati. E anche i Mao, 1972, con i quali Warhol inaugura una nuova pittura meno neutrale e più gestuale; le Ladies and Gentlemen – la serie dedicata alle Drag Queens di New York – e un gran numero di Skulls, i teschi che dal 1976 in poi si moltiplicano nel suo lavoro che di lì in poi attinge a simboli più universali.
Unʼintera sala sarà dedicata alle polaroid che formano una sorta di gotha della New York anni ʻ60: la fama era del resto unʼossessione di Warhol e non a caso fu lui a coniare la famosa, e terribilmente profetica frase, sempre citata e spesso storpiata “15 minuti di celebrità” a cui in futuro nessuno avrebbe rinunciato.
Non poteva mancare unʼOxydation (1978) gigantesca, ottenuta urinando su pigmenti metallici (nei suoi “Diari” le chiama Piss) e provocando così una reazione chimica che sfugge al controllo e crea nuovi colori.
Esposto anche un immenso Camouflage del 1986, stesso anno della serie in cui rese omaggio a Leonardo Da Vinci con Last Supper, pure presente in mostra. Un anno dopo, nel 1987, Warhol moriva, dopo essere scampato miracolosamente alla nera signora nel 1968 quando una pazza gli aveva sparato al ventre.
Andy Warhol non solo è stato il più acuminato interprete della società di massa e del consumismo, folgorante sociologo dellʼAmerica anni ʻ60 ma ha saputo trasformare in arte i feticci dellʼimmaginario collettivo americano, anticipando lʼinstaurarsi del potere dei mass media. Lui ha trasformato in icone la Coca Cola come Elvis Presley, la Campbellʼs Soup come Liz Taylor e Marilyn Monroe, il biglietto del dollaro come Jackie Kennedy.
La mostra di Roma rende ragione e dimostrazione di tutto ciò. » red
26 aprile 2014


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