Una vita da Oste

Una vita da Oste

Sguardo serio e deciso, divisa “vissuta” da un servizio appena concluso, al suo seguito un collaboratore che ha più o meno la stessa età dei ragazzi che tra qualche minuto lo intervisteranno: l’Oste Peppe Bonsignore arriva così all’appuntamento con i ragazzi della quinta A dell’Istituto Alberghiero di Licata ad indirizzo Enogastronomia.
Quando ho proposto al titolare del L’Oste e il Sacrestano questa intervista ho subito ricevuto un feedback positivo, il che non era poi così scontato: uno chef che si sposta dal suo ristorante ad un’aula di scuola per “sottoporsi” alle domande di giovani aspiranti gastronomi non è di certo uno scenario usuale o consueto. L’Oste invece arriva, entra, si siede, si presenta alla classe e dopo pochi minuti quello sguardo serio si trasforma in uno sguardo rilassato; inizia a raccontarsi con naturalezza e semplicità a quei ragazzi che, attraverso le loro domande – a metà tra il ragionato e l’improvvisato – vorrebbero ricevere quante più notizie possibili: sulla vita in cucina, sulle difficoltà affrontate, sulle soddisfazioni ottenute e anche su qualcosa che ancora non c’è. Si rompe il ghiaccio, l’atmosfera diventa più confidenziale e raccolta: sia l’Oste  che i maturandi si mettono a loro agio e il tutto procede nel migliore dei modi.
“Prendere dal passato, modellarlo nel presente e proiettarlo nel futuro con una evoluzione continua giorno dopo giorno”: da qui parte questo viaggio,  quello che ne scaturisce è un piccolo ma grande momento racchiuso in questa intervista.
Angela Amoroso

Oste e Screstano
Come mai ha deciso di restare a Licata?
Più che restare a Licata direi come mai ho deciso di tornare a Licata: io e mia moglie sino al 2004, infatti, abitavano a Firenze ed eravamo entrambi maestri di scuola elementare; l’amore per questa Terra, bella e dannata, unitamente alla passione per la cucina, ci ha spinti a tornare.
Nel 2004, facendo una passeggiata in centro storico, notai un magazzino in affitto, lo stesso dove un tempo mio padre acquistava le attrezzature da pesca. Parlai dell’idea che mi frullava in mente con Chiara, mia moglie, riflettemmo parecchio e infine decidemmo di scommettere su noi stessi e sulle nostre capacità: da quell’istante ha preso il via la nostra avventura.
Devo riconoscere che, in un primo momento, siamo stati considerati dei pazzi per aver abbandonato due contratti a tempo indeterminato e parallelamente aver deciso di investire il nostro tempo e le nostre risorse in un’attività che andava creata dal nulla. Tutto ciò non ci ha fermati, anzi: sia io che la mia signora avevamo le idee chiare e non eravamo due sprovveduti. Sapevamo che puntare su noi stessi comportava sacrifici, possibili cadute, tanto impegno e dedizione. Abbiamo portato avanti il nostro progetto professionale, io occupandomi della cucina, lei gestendo la sala, e quella che per molti inizialmente era una pazzia oggi è una scommessa vinta, così come ha vinto la passione per la cucina.

Com’è nata la sua passione per la cucina?
Convivo con la passione per la cucina dall’età di 11anni, da quando ho iniziato a scoprire che avevo una gran voglia di cucinare. Mia madre era un po’ negata ai fornelli, fortunatamente veniva in soccorso la nonna, bravissima, un po’ come tutte le nonne. Lei abitava nello stesso nostro stabile, al terzo piano: capitava spesso che io andassi da lei, mi mettessi un po’ in disparte e iniziassi a spiare quello che faceva tra pentole e padelle, la osservavo spesso.
Anche la Signora Anna, una mia vicina di casa, è stata fonte d’ispirazione: ricordo ancora che faceva un fantastico ragù ed io ero molto ghiotto di ragù; considerando le capacità discutibili di mia mamma iniziai quindi a fare i miei primi tentativi ai fornelli, i quali però non riscossero molto successo! Mi resi conto che per ottenere un buon ragù, ma in generale un buon risultato, occorreva studiare: acquistai diversi libri di cucina per apprendere le tecniche, i tempi di cottura, conoscere gli ingredienti e quant’altro. Questo penso sia un messaggio importante: avere sempre fame di sapere, non fermarsi mai alle apparenze ma continuare a studiare e a sperimentare.
Ho comprato libri di cucina assiduamente dagli 11 ai 24 anni: ho immagazzinato molte nozioni teoriche che successivamente ho messo in pratica nella mia osteria; con il passare del tempo occorre dare priorità alle esperienze rispetto alle nozioni teoriche, ma l’aver studiato tanto mi ha permesso di apprendere molti concetti che negli anni mi sono stati utili e tutt’oggi hanno ancora una loro rilevanza.

Oste e ScrestanoDa cosa nasce il nome “l’Oste e il Sacrestano”?
La mia idea, così come quella di mia moglie, è stata sin dal principio  quella di creare un’osteria che mi permettesse  di avere un contatto maggiore con i nostri ospiti. L’osteria nasce, tra l’altro, all’interno della sacrestia, sconsacrata dal 1936, della Chiesa di S. Andrea: il connubio tra le due cose ha portato alla nascita de L’Oste e il sacrestano. Il personaggio dell’Oste mi si è cucito addosso come un vestito: a lavoro sono l’Oste Peppe, nella vita privata semplicemente Peppe Bonsignore.

Qual è il piatto che la rispecchia e che l’emoziona di più?
Ad oggi posso dire che è un piatto che ho creato nel 2010, l’anno della nostra svolta grazie alla partecipazione a “Chef emergenti del Sud Italia” con la finale disputata a Napoli. Il tema prescelto per la competizione è stato il barbecue: io non avevo il barbecue in cucina, tuttavia non mi sono fatto prendere dallo sconforto.
Ho pensato parecchio ad un soluzione che potesse competere con le altre proposte ed è nato questo piatto: un polpo cotto nel the verde, piastrato in padella, profumato al legno di mandorlo, servito su una crema di carote di Ispica, bietolina dolce, tartare di testa Anni ’80 e patatina fritta. Il piatto si chiama “l’evoluzione del Polpo ‘a strascinasale”  e in questa evoluzione l’ultimo elemento aggiunto è stato il gomasio, ovvero il sesamo, che arrostito e lavorato con il sale, diventa quasi una polvere che dona una nota mandorlata al piatto.

Su cosa si basa la sua cucina?
Direi tantissimo sulla materia prima: avere in cucina una buona materia prima significa avere una buona fetta di lavoro già fatto; se poi la materia prima è eccellente ci sarà ancor meno da fare. È difficile sbagliare con le eccellenze: serviranno piuttosto meno sofisticazioni che renderanno più buono il piatto finale.

Lei ricerca quindi la semplicità nei suoi piatti?
Semplicità è una termine che mi appartiene relativamente: se prendiamo in considerazione il piatto precedente semplice penso non sia il termine appropriato; l’aggettivo più adatto penso sia “riconoscibile”.

Oste e ScrestanoHa fatto anche lei la gavetta?
Purtroppo no: avevo 26 anni quando ho deciso di aprire la mia osteria e non provenivo da una scuola alberghiera o da precedenti esperienze in brigate di cucina; sono state le esperienze vissute sul campo a permettermi di addentrarmi nel mondo della ristorazione. Ricordo però che nel 2012, anno in cui sono stato in Qatar con lo chef Ciccio Sultano e la sua brigata per preparare il banchetto nuziale della figlia dell’Emiro, ho capito cosa significasse ritrovarsi in una posizione subalterna.

Perché ha usato il termine “purtroppo”?
Perché credo che voi, da questo punto di vista, potete considerarvi fortunati a frequentare una scuola che vi permette di avere delle basi sia teoriche che pratiche sul mondo dell’enogastronomia; avete poi anche la fortuna di ritrovarvi in un territorio che ha delle eccellenze gastronomiche che potete conoscere e con le quali confrontarvi, uno fra tutti Pino Cuttaia. Uno dei consigli che mi sento di darvi è quello di risparmiare dei soldi per investirli in esperienze di gusto che vi formeranno, vi apriranno la mente e vi permetteranno di vedere un altro mondo gastronomico che vi permetterà di formare il vostro background di sapere.

Quando ha conquistato le due forchette Gambero Rosso?
Questo traguardo è arrivato nel 2011, a seguito di un’annata particolarmente impegnativa e proficua. Puntavamo a ricevere i tre gamberi dalla Guida, avevamo lavorato sodo con quell’obiettivo. Successe che da noi venne il Direttore del Gambero Rosso, bussando al nostro locale, il 14 agosto: sul momento fu uno choc ma dalla fase di stupore passammo alla fase operativa mantenendo la calma e soprattutto la concentrazione. Ebbene, quella sera andò così bene che dai due gamberi passammo direttamente alle due forchette: facendo un paragone calcistico sarebbe come passare dalla serie B alla zona Champions League della serie A attraverso una sola partita. Ad oggi il nostro punteggio di cucina si assesta a 51: prima di noi ci sono Pino Cuttaia, al primo posto con 55 punti e Ciccio Sultano, che lo segue con 54.

A cosa ha rinunciato per fare questo lavoro?
Prima che mi sposassi, e quindi prima del 2007, a tutto: questa professione, oltre ad essere particolarmente affascinante, è fatta anche di sacrifici, di andare a dormire tardi e alzarsi presto al mattino, rinunce e soprattutto poco tempo libero. In seguito al matrimonio con Chiara ho cercato di ritagliarmi del tempo da dedicare alla mia famiglia e ai miei affetti; il tempo è una componente ancora più importante da quando sono diventato padre, circa 8 mesi fa: il lavoro resta una priorità ma la famiglia è al primo posto.

Oste e ScrestanoSe tornasse indietro rifarebbe la stessa scelta?
La rifarei altre mille volte: intraprendere questo lavoro mi ha permesso e mi permette di girare il mondo, di confrontarmi con altri chef, di apprendere sempre qualcosa di nuovo, di sperimentare e di crescere a livello professionale ma anche umano. Per tutti questi motivi sono ogni giorno più sicuro della mia scelta.

Le piacerebbe se sua figlia decidesse di appassionarsi alla cucina?
Al di là di quello che lei deciderà di fare, se io potessi scegliere per lei mi augurerei che diventasse una sommelier, anche se ovviamente dovrebbe studiare tanto; spero invece non decida di intraprendere la carriera in cucina, non tanto per una differenza tra i due generi sulle competenze e capacità, quanto invece perché penso che per le donne si tratterebbe di un sacrificio maggiore nell’ottica di volere costruire una famiglia. Esistono però anche le eccezioni che confermano la regola, come quella di una collega e amica, Marianna Vitale di Quarto, ristorante stellato a Napoli: lei è diventata mamma da poco, ha giocato un ruolo importante durante la sua gravidanza la capacità di formare una brigata molto competente che potesse fare bene anche senza di lei.

Cosa ne pensa degli chef televisivi?
Per quel che mi riguarda credo facciano bene ad andare in televisione: portano acqua al loro mulino. Si tende a pensare che uno chef stellato e rinomato come Carlo Cracco possa perdere di credibilità con le sue apparizioni in spot pubblicitari di patatine o di cucine, lontano quindi dalla sfera che prettamente gli compete; dal mio punto di vista credo che tutto ciò sia invece una conseguenza di come sia cambiato negli anni anche il mondo della ristorazione e il suo rapporto con i media. Gli chef oggi sono anche personaggi televisivi che comunicano attraverso i loro piatti ma anche tramite carisma e personalità, ottengono una forte cassa di risonanza che si ripercuote positivamente sulla loro immagine e più in generale sull’intera categoria.

Lei ha mai pensato di scrivere un libro?
Ho pensato più volte di scriverne uno sulle telefonate comiche che spesso riceviamo in osteria relative a prenotazioni, informazioni e quant’altro! Scherzi a parte non nego che mi piacerebbe, magari tra qualche anno: non tanto un libro di ricette ma quanto un libro racconti della mia esperienza da Oste.

Qual è l’esperienza più bella che ha vissuto?
Credo che l’esperienza più bella debba ancora venire: se dovessi soffermarmi solo sulle cose già fatte rischierei di perdere l’entusiasmo verso ciò che deve ancora accadere.

Se dovesse sceglierne una tra quelle passate?Oste e Screstano
Sicuramente quella del Qatar: ho trascorso 16 giorni in una cucina difficilmente descrivibile a parole: pensate soltanto che c’erano stanze adibite esclusivamente alla preparazione dei succhi di frutta.

Oltre a Ciccio Sultano con quali chef ha avuto modo di collaborare?
Attualmente faccio parte di un’Associazione chiamata Chic – Charming Italian Chef – che racchiude i migliori chef d’Italia. Insieme creiamo e organizziamo delle serate di gusto; a fine servizio, oltre a cenare e divertirci, discutiamo anche di cose importanti e concrete. Circa una settimana fa in Valtellina l’ecosostenibilità è stato uno degli argomenti affrontati, ne è emerso il nostro impegno in cucina per la creazione di piatti ecosostenibili per salvaguardare il nostro ambiente: con quelli che vengono considerati scarti si possono preparare delle ottime portate

Da cosa si lascia ispirare per creare i suoi piatti?
Spesso l’ispirazione nasce osservando dei piatti bianchi vuoti: li considero un po’ come una tela da dipingere. Mi capita spesso di comprarli e di immaginare al loro interno il piatto finito. Nella scelta delle materie prime parte invece molto parte dal passato: a volte è come se parlassi ancora con mia nonna in cucina. La tradizione è importantissima: fare alta cucina sarebbe impossibile se non si avesse conoscenza della cucina tradizionale, un po’ come avere una macchina potentissima ma non saperla guidare. Chi parla di creme royale senza saper fare l’uovo fritto è vuoto, artefatto. Dobbiamo infine pensare al nostro ruolo anche come venditori di territorio: ai nostri ospiti non offriamo un semplice menù ma un’esperienza.

Oltre ad essere amante della buona tavola è anche amante del buon vino?
Certamente. Quando  abbiamo aperto l’Osteria nel 2004 il vino era per noi un territorio sconosciuto. Io e Chiara abbiamo quindi riiniziato a studiare, intensamente, per circa 3 anni, un po’ come si vede nei quiz televisivi: a domanda risposta, tra Doc, Docg passando per le varie cantine vinicole e Igt. La carta dei vini è molto importante ma occorre anche saperla vendere:per saperla vendere occorre saperne parlare, e per saperne parlare bisogna studiare.
Stappare una bottiglia di vino é come aprire un territorio: andando oltre al sughero senti l’odore della terra, t’innamori del profumo, del prodotto, del liquido. Quel liquido è storia, tradizione e tanto altro.

peppe bonsignoreAvrebbe mai pensato all’inizio della sua carriera di raggiungere risultati così importanti?
Sinceramente no: anche essere qui oggi, raccontarmi a voi e parlare della mia esperienza lavorativa è per me motivo di emozione. A fine giornata, in Osteria, così come faccio giornalmente, scriverò sul mio diario di questa esperienza, la ricorderò con grande gioia.

Quali sono le sue ambizioni future?
Quello che mi auguro è di essere sereno, giorno dopo giorno: tornare a casa al termine del servizio e poter essere soddisfatto della giornata appena conclusa. Può apparire semplice ma non sempre lo è.

Come mai non è ancora arrivata una stella Michelin?
Credo che la stella sia un mondo a sé: se la mattina mi svegliassi pensando al mio lavoro con il solo obiettivo di ottenere la stella non avrei di certo l’approccio corretto e influenzerei negativamente anche il mio rapporto con la cucina. Sapete bene che per ottenere le stelle Michelin hanno rilevanza, oltre alla cucina, anche la sala, il locale, la carta dei vini, il servizio: è l’unione tra questi elementi a far scaturire il prestigioso riconoscimento. Quest’anno L’Oste e il Sacrestano ha ottenuto per la prima volta un buon punteggio sulla guida Michelin e quindi potremmo essere “papabili” per la stella. Da parte mia c’è sempre il massimo impegno e dedizione, così come abbiamo sempre fatto, con o senza stella. Permettetemi comunque di affermare che per il sottoscritto la stella più importante è arrivata il 3 agosto scorso, con la nascita di mia figlia Ginevra: questa è di certo la soddisfazione più grande.
Gli studenti della 5°A Enogastronomia


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