“Jobs” è un film che non ha riscosso molto successo al botteghino, specie negli Stati Uniti.
Eppure io sapevo che a me sarebbe piaciuto parecchio.
Non perché io sia fan di Ashton Kutcher, anzi, tutto il contrario. Sono una sua detrattrice convinta, eppure… alla fine del film, mi sono alzata dalla comoda poltrona dell’Odeon convinta di aver visto un’interpretazione che si avvicina molto al concetto di “interpretazione magistrale”, almeno per quel che mi riguarda. Così come mi posso definire una detrattrice di Kutcher, posso definirmi una patita della figura intrigante e carismatica di Steve Jobs che, inseguendo un sogno, un’idea, è riuscito decisamente a cambiare il mondo.
La scelta di non far vedere la vita di Jobs durante la malattia e quindi i suoi ultimi anni (con le sue conseguenti vittorie, sconfitte e imprese) è stata una scelta interessante, anche perché così facendo si sono approfonditi i fatti che hanno portato Steve Jobs a diventare quel celeberrimo Steve Jobs che noi tutti conosciamo.
L’egoismo di questo Jobs è pari solo alla sua genialità e il fatto che, in alcune parti del film, si arrivi a non sopportarlo è indice del fatto che Matt Whiteley è riuscito nel suo intento: farci conoscere uno Steve Jobs molto più vicino a quello reale. Insomma, molto più schiavo che il visionario che è riuscito a conquistare tutto il mondo.
Insomma, 128 minuti in cui vi potrete rimettere in gioco, rimettendo in gioco insieme a voi quella che è la vostra idea su Steve Jobs e, in generale, su molti angoli reconditi e intriganti dell’animo umano. Complimenti a Joshua Micheal Stern, regista in grado di rendere antipatico un mito. » Chiara Colasanti
TW @lady_iron
4 dicembre 2013
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