Quest’anno il Primavera Sound, uno dei festival musicali europei più seguiti per quel che riguarda l’alternative indie e di “avanguardia” (ma non solo), ha compiuto 15 anni e, sebbene non si sia arrivati ai cosiddetti “sweet sixteen”, è stata un’edizione davvero degna di nota.
La location da dieci anni è sempre quella del Parc del Fórum e quest’anno i palchi hanno riservato degli spettacoli davvero unici.
Non solo i palchi più grandi, come il Primavera, l’Heineken o il Ray Ban, ma anche su quelli più “piccoli”, come l’ATP, l’H&M Pro, il Pitchfork, l’Adidas Originals, l’Auditori Rockdelux o l’Heineken hidden stage e il Ray-Ban unplugged ci sono stati artisti emergenti e affermati che hanno reso unica l’esperienza del Primavera Sound.
Un festival davvero completo, organizzato nei minimi dettagli, che fa riflettere molto su quelli che sono gli standard internazionali quando si tratta di eventi di questa portata e, soprattutto, di questo rilievo. Non solo per quello che riguarda la logistica e l’organizzazione generale, ma proprio per l’atmosfera che si respirava e per la rilassatezza dei presenti che si riversavano nelle aree dedicate ai concerti, a ridosso del mare, dove i tramonti e le albe sono diventati esperienze davvero incredibili e trascinanti. L’euforia dei concerti e il coinvolgimento totale dovuto alla musica erano ben presenti, ma il rispetto degli altri e la voglia di divertirsi non si annullavano reciprocamente, riuscendo così a mantenere la situazione sotto controllo, nonostante le 176000 presenze registrate quest’anno.
C’erano concerti praticamente ovunque e c’erano concerti praticamente sempre: per riuscire ad assistere a tutti si sarebbe dovuti essere ubiqui, ma ho assistito a corse contro il tempo che hanno ovviato al problema della mancanza di ubiquità in maniera soddisfacente. Per non perdersi almeno una canzone di un artista che si sarebbe esibito alle 20:30 sul palco ATP si partiva dal palco Heineken dopo un paio di canzoni dell’artista che aveva iniziato a suonare alle 19:45… scarpe comode, se doveste mai andare, mi raccomando. Scarpe molto comode.
Assistere ad un concerto in un festival come il Primavera Sound è davvero qualcosa di unico e di strabiliante allo stesso tempo per una serie di fattori esterni che rendono quel concerto… IL concerto. Un po’ come è successo in occasione del concerto dei Black Keys, di Patti Smith, di Damien Rice, dei Belle and Sebastian e degli Strokes: i concerti in sé per sé sono stati coinvolgenti (Damien Rice e Patti Smith su tutti), ma anche i concerti meno riusciti, per usare un rispettoso eufemismo, sono stati qualcosa da raccontare definendoli “imperdibili” e “indimenticabili” non solo per via della location, ma anche per quell’atmosfera “da Primavera Sound”.
Altra caratteristica vincente è stata quella di unire agli eventi del Primavera Sound anche quelli legati al Primavera Pro, tre giorni di workshop, incontri, panel e dibattiti circa le sorti della musica in generale e del mercato musicale nel particolare, con grandi professionisti internazionali ma anche artisti emergenti “consigliati” e promossi da chi si è occupato di organizzare gli eventi.
Tra le band che si sono esibite durante il Primavera Pro ce ne sono state due che hanno attirato la mia attenzione: gli Acollective e i Millions.
La prima è una band di sei componenti provenienti da Tel Aviv, mentre la seconda è una band composta da quattro ragazzi di Brisbane: il loro sound è fresco e originale, ognuno nel proprio modo e nel proprio genere; nella dimensione live riescono a convincere ancor più che su Spotify, ma intanto potete dare un ascolto qui:
Acollective – Millions –
Insomma, un’esperienza assolutamente da provare: il prossimo anno il Primavera Sound si terrà dal primo al quattro giugno 2016, non prendete impegni! » Chiara Colasanti
TW @lady_iron
11 giugno 2015
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