Quando l’imperativo è solo uno (esserci!) ogni occasione è buona per ottenere ciò a cui si tiene, specie se si tratta di scatenarsi e urlare per dimostrare quanto si merita di stare nel parterre degli Mtv EMAs.
Così ci presentiamo alle ore 9,10 di sabato 17 ottobre davanti agli StudioPiù di via Tortona a Milano: la fila non è lunghissima, ma sono presenti già una sessantina di ragazzi che si scaldano cantando e ballando le canzoni che stanno preparando per l’audizione in programma di lì a poco.
No, non siamo andati ai provini per la nuova edizione di The Voice o a quelli per entrare ad Amici, ma ai casting per tornare a casa con un biglietto per gli Mtv EMAs.
Alcuni dei ragazzi presenti hanno deciso di boicottare la mattinata a scuola per tentare di aggiudicarsi l’ambito biglietto per l’evento dell’anno; qua e là si notano ragazzi un po’ più grandi che hanno sacrificato una mattinata di studio in vista del prossimo esame per cercare di poter dire “io c’ero” e poi ci siamo noi, che alziamo nettamente l’età media.
Verso le 9:20 ci fanno entrare negli studi e ci fanno posizionare in un serpentone di transenne, in attesa del nostro turno, ma un interrogativo comincia a farsi largo nella nostra mente: cosa dovremmo fare nello specifico per convincere i giudici di essere le persone che stanno cercando?
Una ragazza ventenne arriva in nostro soccorso, decidendo successivamente anche cosa avremmo fatto davanti ai giudici: “Sono qui da sola, vi dispiace se mi unisco a voi per il provino?” … e noi che non sapevamo nemmeno si potesse fare un’audizione collettiva!
Vediamo continuare ad arrivare ragazzi con scritte su braccia, viso e mani, armati di bandiere, striscioni, torte decorate con il logo degli EMAs e persino travestiti da squali (un omaggio allo squalo scoordinato dell’esibizione al Super Bowl di Katy Perry, probabilmente): cominciamo a sentire salire un po’ di imbarazzo per esserci presentate così “sprovvedute”, perché la competizione si sta facendo decisamente dura.
Quando arriva il nostro turno vediamo che dobbiamo semplicemente dimostrare tutta la nostra energia e tutto il nostro entusiasmo sulle note di una canzone a nostra scelta, ma il ventaglio di possibilità a nostra disposizione per impressionare i giudici era pressochè infinito: si narra di un ragazzo sui trent’anni che ha aperto i casting il venerdì entrando in scivolata sulle ginocchia davanti al tavolo dei giudici, urlando come un matto.
Mentre si alternavano le canzoni di Lady Gaga, One Direction, Fall Out Boy, Katy Perry e molti altri a sessioni di urla da dieci secondi minimo (finito di ballare o cantare veniva chiesto di dimostrare di poter urlare fortissimo per dieci secondi: è stato un piacere, corde vocali, ci rivedremo tra qualche giorno!) bisognava dimostrare di essere già “pronti a gasarsi di brutto” anche in fila, perché i ragazzi dello staff (sia italiani che inglesi) che si occupavano di raccogliere i dati e spiegare cosa fare e come muoversi erano talmente carichi a molla che veniva male non accontentarli.
Tra episodi di photobombing nei selfie dei partecipanti ai casting, incontri ravvicinati del terzo tipo con persone molto simili a noi (giusto qualche anno fa!) e timpani messi a dura prova dal volume della musica e delle grida, finalmente arriva il nostro turno.
Dopo aver ballato come se fossimo da soli nella nostra stanza sulle note di “Blank Space” della buona Taylor (mimando il testo per quanto possibile, tra ammiccamenti ai giudici e inviti “a far festa” con noi alle persone in attesa del loro turno) ci viene chiesto di urlare per dieci secondi e poi l’interrogativo più importante: “riuscite a tenere questo ritmo per due ore e mezzo di show?” a cui rispondiamo con uno sguardo e un semplice “Of course!”.
Insomma… Ci si vede lì! Chiara Colasanti
TW @lady_iron
21 ottobre 2015
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