Quando si dice “chiudere in bellezza”: la chiusura del Postepay Rock in Roma non poteva che essere un concerto così atteso.
I Linkin Park tornano in Italia per l’unica tappa del loro “The Hunting Party Tour” in giro per lo stivale dopo il concerto dell’anno scorso al Citysound di Milano e i Simple Plan (opening act per l’occasione) tornano nella capitale dopo tre anni di assenza.
Un riscaldamento che ha (quasi) convinto anche i più scettici: in molti erano presenti anche per la band canadese che oltre a presentare il nuovo singolo “Boom”, ha sfoderato anche brani meno recenti come “I’m Just A Kid” o “Shut Up” coinvolgendo anche chi, nonostante di tanto in tanto urlasse “Datece i Linkin Park!”, su “Welcome To My Life” e altre canzoni non è riuscito a rimanere fermo e zitto.
Dopo mezz’ora di cambio palco il primo suono che si percepisce è la batteria, così forte e inattesa da far trasalire tutti, ma non c’è tempo per perdere anni di vita: la band sta salendo sul palco e la folla raccolta all’Ippodromo delle Capannelle sta per vivere il concerto che aspettava da tempo.
Una scaletta ricca di canzoni che trasportano avanti e indietro nel tempo; una scenografia che abbraccia lo spettatore in un numero indefinito di giochi di luci e immagini che dagli schermi arrivano dritte sottopelle, insieme alle voci di Chester e Mike (che non stanno fermi un attimo) e un pubblico che non si perde nemmeno una nota, diventando parte integrante dello spettacolo. La coreografia su “Final Masquerade” con il mare di palloncini illuminati dalle torce dei cellulari è stata quasi commovente: sul palco l’emozione è stata tangibile negli occhi di tutti i componenti della band, rimasta quasi senza parole.
Shinoda ha anche il tempo di presentare “Welcome”, singolo del suo progetto solista Fort Minor, accolto calorosamente (ma non troppo!) dal pubblico, che esplode in un boato non appena il resto della band riappare sul palco.
Band che non si è risparmiata e che ha più volte ripetuto quanto quel pubblico stesse donando loro un’energia fantastica.
Quella stessa energia si è tramutata in commozione quando, prima del bis, Chester ha voluto ricordare Alessandro Di Santo, un loro fan ventenne da poco scomparso in un brutto incidente stradale.
“La bandiera italiana firmata dai suoi amici del fan club è rimasta al centro del palco dall’inizio del concerto come segno di affetto nei tuoi confronti: le canzoni che stiamo per suonare sono per te, Alessandro!”
Quando dal pubblico viene richiesta a gran voce una canzone non prevista in scaletta (“A Place For My Head”) c’è uno sguardo di intesa tra i vari componenti della band e scatta automatico un “as you wish” di risposta. Chester chiede se fosse la canzone preferita di Alessandro e la risposta che riceve è positiva. Il tempo di aggiustare il tiro e i fan vengono accontentati, perché si sa: il pubblico ha sempre ragione, specie quando non viene sottovalutato.
Sulle note di “Bleed It Out” si conclude in bellezza il concerto (durato quasi due ore) e ci si trascina fuori dall’Ippodromo, dove sembra essere tutto troppo quieto per le nostre orecchie, ma si sa che agli spettacoli belli ci si abitua subito.
È con la normalità che bisogna poi riprenderci la mano.» Chiara Colasanti
TW @lady_iron
9 settembre 2015
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