Al Teatro Akrai di Palazzolo Acreide (Siracusa), sabato 1 agosto alle ore 21:15, nell’ambito dell’edizione 2015 di Teatri di Pietra in Sicilia, sarà messa in scena l’ultima replica di “Le Rane” della Compagnia La Bottega del Pane diretto da Cinzia Maccagnano.
Le Rane di Aristofane – spiega una nota dell’organizzazione – sono una parodia della decadenza politica e culturale dell’Atene dell’epoca del 405 a.C., ma soprattutto una riflessione sul teatro e sulla vita morale e sociale, all’indomani della morte di Euripide e Sofocle, ultime guide intellettuali della polis. Protagonista è Dioniso, il dio del teatro, ma che qui non è più il seducente straniero delle Baccanti, bensì un patetico personaggio in cerca d’autore, un attore senza ruolo al quale avanzano battute tragiche che, fuori contesto, risultano penose e grottesche.
Il ridicolo Dioniso, con un imbarazzante travestimento da Ercole, intraprende il viaggio per l’oltretomba in cerca dell’autore che possa ridargli dignità, e con lui anche al teatro e quindi alla società, a cui solo il teatro può e deve insegnare la virtù. Con lui il servo fidato Xantia, pronto e astuto. Inizia così la Catabasi verso gl’inferi, dove non possono mancare gli incontri con Caronte, Plutone e molti altri personaggi, i quali sono la copia conforme di una umanità bassa e volgare che abita il mondo terreno. Parentesi poetica è il coro di rane della palude infernale che sbeffeggia Dioniso, ma non rinuncia a cantare cignescamente intraducibili versi poetici, unico conforto dell’anima. Il viaggio si conclude con il tanto atteso incontro con Euripide ed Eschilo, intenti a litigare per stabilire chi dei due sia il più grande poeta tragico.
Euripide accusa Eschilo di ridondanza e poca chiarezza, ed Eschilo rimprovera Euripide di aver corrotto gli ateniesi con i suoi esempi immorali insegnando loro a tradire, uccidere ed evitare di adempiere ai loro doveri. Aristofane contrappone così la poesia brillante, figlia della sofistica, di Euripide e la magniloquenza di Eschilo, a volte oscura, ma di grande valore etico. Alla fine Dioniso, giudice dell’agone, sceglie di riportare in vita Eschilo, come per dire che per una società oramai al tramonto, incosciente della propria volgarità, è meglio riportare alla memoria buoni esempi di valori e di vivere civile, piuttosto che sperare in una capacità di autocoscienza di fronte ad esempi di corruzione e degrado. Le Rane, pur con una vena comica festosa, di ispirazione lirica, parla con una tristezza sconsolata di un vuoto culturale.
Dioniso ha perduto il fascino della sua doppiezza, del suo oscillare tra bene e male, del suo dire e non dire, del suo nascondere per mostrare, ovvero ha perduto l’arte del teatro, di cui è rimasta solo la parvenza farsesca e deprimente. Eppure il teatro non perde mai la sua funzione e infatti mostra la sua stessa desolante condizione per indicare la miseria in cui è stato ridotto e insieme ricordare il proprio valore, scuotendo la coscienza di cui è esso stesso genitore.
“Aristofane guarda con nostalgia al passato perché sia evidente il vuoto presente – scrive Cinzia Maccagnano nelle note di regia – . Ma noi nel vuoto ci stiamo da un po’, non stiamo assistendo alla fine di un mondo virtuoso, siamo già oltre la degenerazione e lo sgretolamento della nostra società. Il finto cambiamento si è svelato in tutta la sua volgarità lasciando solo smarrimento, vuoto, macerie. La cultura non si mangia, l’arte non produce, la gente vuole ridere…. È tempo di ricostruire, tempo di rimettere in forma le idee, tempo di desiderare e perciò di sognare. Basta uno che sogni per udire il canto delle Rane. E già, le Rane, chi sono? Le creature che stanno tra la vita e la morte, tra il sogno e l’incubo, tra la realtà e la finzione, tra il chiaro e l’oscuro, sullo Stige in attesa del trapasso, in attesa di poter cantare per essere zittite o ascoltate da chi, in bilico, sta inseguendo una chimera… Le Rane sono la poesia, che non si vede, ma è ovunque la si voglia evocare; sono la natura altra del mondo. Alla fine non conta più trovare l’autore di frasi “poderose”, ma riconoscersi tra Rane e insieme intonare il bel canto che accompagni l’impresa della risalita o almeno che illuda i sognatori d’essere più vicini al sublime”. » 31 luglio 2015
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