So che questa è una di quelle esperienze che potrò raccontare ai miei nipoti (acquisiti o meno, a seconda di come andranno le cose) dicendo “Eh, ragazzi, la nonna c’era… eccome se c’era!”.
Sto parlando del Jazzit Fest, una quattro giorni di musica jazz in un borgo medievale umbro chiamato Collescipoli, a pochissimi chilometri da Terni, dove si sono alternati 450 artisti durante 104 concerti e dove ci sono state anche esposizioni fotografiche, mostre d’arte e il meeting del jazz in Italia, con le più importanti realtà della scena jazzistica italiana a esporre i propri prodotti.
Un’esperienza fantastica, ancor più perché si è riusciti a fare qualcosa di davvero unico nel suo genere: oltre ad essere la più grande festa di sempre del jazz italiano, è stato anche il primo festival a impatto zero su più fronti.
A impatto zero sul fronte dei contributi pubblici: la Vanni Editore si è fatta carico di tutte le spese, con alcuni piccoli sponsor al suo fianco, per far arrivare chiaro e forte il messaggio che è ora di destinare i fondi per la cultura all’educazione alla cultura, più che ai cachet di artisti e/o di organizzatori di eventi.
A impatto zero a livello ambientale perché tutte le stoviglie usate nei punti ristoro erano biodegradabili e, ovviamente, si è stati attenti a fare una corretta raccolta differenziata, per non pesare ulteriormente su questo povero ambiente che ci ritroviamo così malridotto.
A impatto zero a livello di iniziative “estranee” al territorio: grazie alla collaborazione della Pro Loco non solo si sono serviti i rinomati gnocchetti alla collescipolana (ricetta privatissima, quindi per provarli dovete per forza venire qui a Collescipoli!) e tutti piatti legati al territorio, ma c’è stata una collaborazione da parte di tutti gli abitanti del luogo che hanno reso il borgo un vero e proprio paese a ospitalità diffusa, dal primo all’ultimo sorriso.
Dal 5 all’8 settembre, quello che solitamente è un tranquillissimo (anche troppo) paesino di provincia è diventato così il cuore pulsante della scena jazzistica italiana, con gente che veniva da tutta Italia attirata non solo dalla garanzia di qualità che la rivista di settore (Jazzit, appunto) offriva, o da un gruppo o l’altro che avevano confermato la loro presenza (a titolo gratuito, chiaramente, anche questa), ma, più in generale, dalla novità che questo festival ha rappresentato e da cui non si potrà più fare marcia indietro.
Chiara Colasanti
20 settembre 2013
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