Intervista a Roy Paci fra musica, cibo e contaminazioni made in Italy

Intervista a Roy Paci fra musica, cibo e contaminazioni made in Italy

Gli italiani lo fanno meglio. Roy Paci ne è convinto e lo canta in maniera musicalmente energica, ed il singolo “Italians Do It Better” rappresenta il genio, la forza, il coraggio di chi ogni giorno con la sua presenza, rende questo paese migliore.
Trombettista, compositore, arrangiatore, produttore, Roy Paci è un musicista impegnato, in tutti i sensi.
Un variegato mix sonoro che va dal rocksteady siciliano a sonorità solari e mediterranee, passando dalla tradizione made in Trinacria rivisitata, fino al jazz che fa saltare in piedi e ballare, e alla Giamaica.
Roy Paci e la sua tromba vantano una carriera straordinaria: dalle tournée nei jazz club alle esperienze in Sudamerica, dove ha suonato con la Big Band di Stato Argentina, alle collaborazioni con cantautori di un certo livello come Vinicio Capossela, Ivano Fossati, Paolo Conte, passando per il Senegal dove si è esibito con la band di Papa Matelot Sabow. Il suo nome appare in oltre 250 album.Con il suo singolo “Italians Do It Better” Roy Paci racconta un’Italia che continua a renderci profondamente orgogliosi, quella per cui vale la pena impegnarsi, e a provare ad essere migliori.
Lo abbiamo intervistato lo scorso 19 luglio durante un aperitivo “Arancine & Bollicine” dallo chef Pino Cuttaia, prima del concerto, per comprendere meglio il suo rapporto con la musica, il cibo e le contaminazioni.

 Roy, diverse volte hai parlato della musica di Rosa Balistreri, cosa significa per te esibirti nella sua città, a Licata?
Quello di questa sera è appuntamento che sfiora le corde dell’anima perché Rosa Balistreri è la linfa vitale di tutta la mia musica. É un appuntamento con la città, con la gente che ci vive, ma soprattutto con l’aspetto ancestrale di questo posto che sviluppa in me tutta una serie di percezioni che sono come carburante per tutto quello che faccio.
Per me Rosa è una specie di divinità. Io ammiro tutte le persone che hanno una grande ricchezza, una grande energia dentro, non a caso ho scritto un pezzo “Italians do it better” rivolto alle eccellenze italiane, e Rosa Balistreri, si trova al primo posto.

 Non si può non notare che la tua musica è una fusione di diversi generi, a cui il tuo stile dà poi forma. Quanto contano per te le contaminazioni?
Penso che le contaminazioni contino tantissimo. Essere troppo ghettizzati costituisce una sorta di “chiusura” nei confronti di cosa accade attorno a se. Avere un’apertura mentale, a 360 gradi, ci consente di far entrare dentro la musica contaminazioni diverse che arrivano dai viaggi in Africa, in Sud America o in India. Questa inclinazione consente alla mia musica di superare il fenomeno dell’ortodossia per andare ad aprirsi al mondo intero. Il linguaggio della musica è un linguaggio universale. Non potrei vivere altrimenti.

Quali sono le tue tappe enogastronomiche obbligate quando vieni a Licata?
Prima di arrivare a Licata cerco sempre di mettermi in contatto con Pino Cuttaia, e non lo dico per piaggeria, ma perché considero Pino, e non è la prima volta che lo dico, uno dei migliori chef al mondo, e tanti addetti ai lavori, non solo italiani, lo considerano tale. Pino è il mio anello di congiunzione con il fenomeno enogastronomico.
Ovviamente ci sono anche altre belle realtà, conosco tanti artigiani che plasmano la materia, e qui a Licata c’è anche Peppe Bonsignore.
Licata è diventata interessante perché si stanno sviluppando delle grandi sinergie e questo posto sta diventando un focolaio d’iniziative belle e positive.

Quali sono le qualità che apprezzi maggiormente in un musicista ed in un cuoco?
Io adoro la predisposizione delle persone a viaggiare su un binario umile e saggio. Quando vedo colleghi musicisti che si esaltano e perdono il controllo dell’essere umano, ho difficoltà ad entrare in simbiosi con loro.

Un’ultima domanda su musica e cibo. Se l’arancina fosse uno strumento musicale?
Un fagotto!

» Giuseppe La Rocca
@giularo
29 agosto 2014

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