Proviamo ad immaginare se per un giorno fossimo privati della nostra connessione Internet, se per motivi di lavoro o personali non potessimo aprire la nostra posta elettronica o i social network.
I disagi sarebbero enormi, soprattutto per i nostri ragazzi, i cosiddetti “digitali nativi” che dei loro telefoni, dotati di ogni tipo di applicazione non riescono più a fare a meno. I vantaggi della tecnologia sono indiscutibili e nessuno potrebbe fare un passo indietro, rinnegandone l’uso.
Ma quasi quotidianamente, tecnologia e social network vengono messi sotto accusa per i loro effetti negativi e messi alla gogna, quando capitano tragedie come quella della quattordicenne che qualche settimana fa si è tolta la vita, anche in seguito ad istigazioni ricevute su Ask o quando si apprende che nell’ ultra-tecnologizzato Giappone si è sviluppata la ‘sindrome Hikikomori’ che si manifesta con letargia, incomunicabilità e isolamento totale dovuto ad un incessante uso di internet e video-games.
Notizie che lasciano aperti mille interrogativi, che rimettono in discussione l’uso indiscriminato e incontrollato dei social network, di cui tutti, senza limiti d’età, facciamo uso e abuso. Così oltre ad ammodernarci nell’uso dei social media, rinnoviamo anche il nostro lessico con termini come “cyber bullismo”, ovvero il bullismo esercitato telematicamente.
Il cyber bullismo, a quanto pare, è approdato anche a Licata, coinvolgendo addirittura ragazzini di scuola media, come ha recentemente evidenziato l’associazione “A testa alta”, con una nota indirizzata agli Istituti comprensivi di Licata , al Prefetto di Agrigento e al Commissariato di P.S. di Licata, denunciando la crescente e preoccupante diffusione del fenomeno.
Ma chi sono i cyber bulli? Sono ragazzini normalissimi, molti senza particolari problemi, comunissimi teenagers che fanno le stesse cose di tutti gli altri, talvolta, anche diligenti a scuola e simpatici con i loro amici. E allora come mai passano il tempo ad insultare i coetanei, attraverso un turpiloquio sfrenato e disinibito?
Difficile rispondere. E’ possibile solo ipotizzare. Sarà perché siamo in un’ epoca in cui anche il significato di libertà di pensiero e di parola è stato frainteso come possibilità di dire tutto di tutti, senza nessun freno, forse perché il valore del rispetto anche verbale tende a scomparire e forse perché In Italia, ormai, anche nelle alte sfere politiche, fa più proseliti chi grida di più e chi usa la parola come arma per colpire gli avversari. Probabilmente anche questi esempi contribuiscono alla diffusione della violenza verbale.
Quando si parla di giovani è ovvio interrogarsi sul ruolo della famiglia. Esso è, purtroppo, sempre più precario di fronte alla potenza e alla prepotenza del web e della televisione, che continuano a propinare messaggi di violenza di vario genere.
Ci si chiede come mai le serie televisive più seguite sono quelle che raccontano di serial killer e menti malate di criminali? Per non parlare, poi, del genere horror- fantasy, infarcito solo di sangue e sesso. E chi esercita il cyber bullismo, per l’appunto, per colpire le vittime, utilizza principalmente temi quali l’aspetto fisico e termini appartenenti al campo semantico del sesso.
L’aspetto fisico, nell’immaginario giovanile, deve corrispondere esattamente ai canoni dei modelli di perfezione proposti dal bombardamento mediatico; il linguaggio a sfondo sessuale denota idee distorte e sbagliate di un atto che ha perso per molti giovani la connotazione sentimentale di cui non dovrebbe essere assolutamente privato.
Anche quando gli attacchi telematici denotano sentimenti di gelosia nei confronti del fidanzatino, dai messaggi traspare soprattutto il concetto del possesso, tipico di una società basata più sull’avere che sull’essere.
Spesso gli adulti credono che il mondo dei ragazzi sia un mondo a parte, da cui tenersi fuori, ma non è assolutamente così, anzi, per chi ha a che fare con gli adolescenti è utile frequentare i social network.
Su facebook, il più popolare social del momento, puoi scoprire i loro gusti musicali, le loro letture, ma anche le loro paure e il loro modo di relazionarsi.
Le loro relazioni sono spesso costituite da complimenti facili, rivolti soprattutto all’aspetto fisico. I cuoricini a completamento dei messaggi si sprecano, così come gli appellativi eccessivamente affettati. Sei bella o “figo” a seconda dei “mi piace” che ricevi in una foto, rigorosamente ritoccata. Sei, non per come sei veramente, ma per l’idea che gli altri hanno di te. Per cui vali se sei “socialmente” accettato, altrimenti sei zero. Da qui il “male di vivere” di molti adolescenti, nel sentirsi diversi, nel non trovare un comune denominatore con la cosiddetta massa. E più guardano le foto pubblicate da chi si diverte, da chi è sempre attorniato da tanti amici, da chi vive una love-story idilliaca, e più, confrontando le loro vite a queste immagini, si sentono inadeguati, senza riflettere che anche chi ha bisogno di pubblicare ogni momento della propria vita personale e sociale, ha a sua volta il desiderio di ostentare per ricevere consensi.
Da poco ho anche scoperto che oltre a blog vari, esistono anche cosiddette “pagine di sfogo” in cui gli amministratori (probabilmente adolescenti) pubblicano messaggi deprimenti, immagini alludenti all’autolesionismo e al suicidio, che ricevono centinaia di “like”, probabilmente da parte di ragazzini in piena crisi adolescenziale. Emerge un’assoluta mancanza di positività e speranza, l’assenza di sentimenti che traspare da ciò che scrivono, il vuoto della loro sfera affettiva, nessuna via d’uscita.
Agli occhi di un adulto pagine simili appaiono come incubi, proiezione di interiorità poco serene. Pare un circolo vizioso nel quale stiamo rimanendo intrappolati. E nessuno può considerarsi immune da tutto ciò, perché se parliamo di giovani non possono esserci né vinti né vincitori, non c’è la vittima e il carnefice, ma c’è una generazione da attenzionare e da riprendere per mano.
Se i nostri ragazzi sono affascinati dal lato oscuro del web, un disagio, provocato anche dal mondo degli adulti, è evidente.
Significa che questa società è scomoda e quindi cercano rifugio in quella virtuale in cui scaricano la loro rabbia e le loro frustrazioni.
Le divergenze generazionali sono sempre esistite e hanno costituito nella storia il “quid” necessario al cambiamento, ma il malessere che emerge dal web è ben più grave.
Noi adulti, però, dimostriamo ancora una volta di essere un passo indietro, e a maggior ragione, per affrontare il fenomeno della vita virtuale, di cui spesso vediamo solo gli effetti senza percepirne le reali dinamiche.
E’ difficile controllare come i nostri ragazzi vivano questo sconfinato mondo parallelo e si giunge a pensare che non esiste una ricetta giusta su come tirare su i giovani, specialmente in un’epoca in cui tutto procede molto, troppo velocemente. » Cettina Callea
24 febbraio 2014
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