Nell’ambito di uno dei weekend più attesi dai librofili di tutta Milano e dintorni (ma non solo: quello di BookCity Milano, appunto), ci sono stati due eventi legati alla presentazione dell’ultimo libro di uno degli scrittori più amati dai giovani perché più vicino a loro di moltissimi altri.
Stiamo parlando di Alessandro D’Avenia, il professore che ha mosso una quantità incredibile di giovani e giovanissimi che lo hanno voluto incontrare anche solo per poche ore, per avere l’occasione di scambiarci anche solo due parole mentre firmava la loro copia del suo ultimo libro, “Ciò Che Inferno Non È”.
Questo stretto rapporto, palese a chiunque bazzichi un po’ i social, da Twitter a Facebook, si è reso fisico e reale offline, con centinaia di ragazzi ammassati in un angolo della biblioteca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore venerdì e sotto la pioggia battente dalla mattina presto davanti al Teatro Parenti e da un paio di ore abbondanti prima del firmacopie davanti alla Mondadori in Duomo.
Venerdì si è trattato di un reading intervallato dagli interventi di Alessandro Zaccuri che ha un po’ guidato e un po’ accompagnato la lettura di alcuni brani del libro, facendo immergere ancor meglio il pubblico nell’atmosfera di Palermo di quegli anni, entrando nel cuore dei personaggi, passando per la loro testa e i loro occhi. Reading la cui parola chiave potrebbe benissimo essere “commozione”: quella del pubblico, sì, ma veicolata da quella del prof due punto zero che, leggendo una toccante storia contenuta in una mail ricevuta la notte prima e leggendo il primo incontro tra Don Pino e Francesco. Un’emozione traboccante, che spiazza e che stupisce, ma che rende l’incontro ancora più intimo e familiare, quasi a voler sottolineare ancor di più il rapporto speciale con i suoi lettori, che sono un po’ una seconda famiglia, desiderosa di ascoltare e leggere le storie che l’autore vorrà narrare loro.
“Faccio un mestiere in cui vedo tutti i giorni in classe “ciò che Inferno non è”: un insegnante non può essere un uomo disperato” ha detto durante l’incontro di sabato, soffermandosi, insieme a Giacomo Poretti (che ha fatto alternare le lacrime di commozione a quelle dalle risate, con il suo stile scanzonato ma “appuntito”) sul concetto di santità e sulla figura di Don Pino Puglisi.
Parlando di Brancaccio, prendendo spunto dall’operazione “Zefiro” dei giorni scorsi, Alessandro D’Avenia ha raccontato della sua esperienza di tre settimane fa, in cui ha toccato con mano il moltiplicarsi di quell’eroismo quotidiano per cui don Pino è stato ucciso: nel silenzio le persone parte di questa missione di salvataggio si sono moltiplicate e il sacrificio di don Pino è stato proprio questo “rendere sacro” quel che aveva di fronte, facendolo durare e dandogli spazio.
Italo Calvino, con il suo “Le Città Invisibili” e Shakespeare, con il suo “King Lear” sono stati più volte citati, insieme a tantissimi altri nomi della letteratura e della storia, oltre che dell’epica.
Una storia non facile quella narrata nel libro, ma raccontata con il consueto rispetto dell’interiorità umana, specie quando si tratta di quella di un adolescente. Il successo riscosso da questo scrittore è la lampante testimonianza di come sia riuscito a trovare il modo più giusto e consono di comunicare con i ragazzi: “se non sei reale, i ragazzi se ne accorgono e non ti seguono più”.
Il tempo trascorso in questi due giorni a firmare le copie è stato tempo davvero dedicato: alla fine di ogni evento ha trascorso delle ore ad autografare sì i suoi libri, ma anche a parlare con ognuna delle persone che si era messa in fila per lui. Domande sulle loro aspirazioni, domande sul loro presente e sui loro studi, se studenti: non è assolutamente una cosa comune e fa sentire speciale la persona a cui viene dedicata quell’attenzione particolare. Ecco perché è diventato un po’ “il prof” di tutti.
Citando Calvino, quando dice che “l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” il prof fa uno splendido augurio ai più giovani: “non ascoltate le lamentele, il cinismo della generazione precedente: prendete il sacro che vi portate dentro, fatelo durare e dategli spazio. Auguri.” » Chiara Colasanti
TW @lady_iron
18 novembre 2014
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