La pizza licatese ha una storia parallela a quella della pizza siciliana. Come tutte le pizze deve molto a quella napoletana, che è stata la prima a fregiarsi di questo nome e che rimane il punto di riferimento per tutte le preparazioni analoghe. Anche la pizza siciliana deve molto all’antenata partenopea, anche se può vantare una sua specificità, dovuta alle numerose influenze culturali e a specialità locali preesistenti.
La pizza licatese viene chiamata Fuazza o Fuata, come in molte altre parti della Sicilia, oppure Fauzza, nome che non trova riscontro in altre specialità locali o in pubblicazioni. I pizzaioli, negli anni ottanta l’hanno ribattezzata Casereccia, al fine di richiamarne l’origine domestica.
Giuseppe Pitrè fa derivare il nome Fuazza da focaccia, che attraverso numerose trasformazioni (fuaccia, fucazza) sarebbe arrivato al popolare fuazza, con questo nome si trovano numerose preparazioni in tutta la Sicilia. Non secondaria potrebbe essere l’origine francese da fouace, fouasse, fougasse, fougace. Anche se molti autori prediligono l’origine catalana, “fogassa” il che porterebbe alla versione della Fuazza con il pomodoro, arrivato in Europa dal Nuovo Mondo grazie agli Spagnoli.
In particolare, Pitrè definisce la Fuazza “una pasta di pane cotta nella cenere” e la localizza a Canicattì (Agrigento), dove viene preparata in occasione dei festeggiamenti per la Madonna.
Con il nome Fuáta Giuseppe Coria indica una pizza del nisseno, condita con uno spicchio d’aglio tritato, una sarda salata, un filo d’olio, sale e un pizzico d’origano, con del pecorino grattugiato su cui vengono poste delle fette di pomodoro maturo. Il nome trarrebbe origine dalla radice di “fuoco”, perché cotta al calore di un gran fuoco o focone
Veniamo al modo in cui la pizza licatese potrebbe essere nata e quindi alla ricetta che più probabilmente si avvicina a quella autentica, e che confermerebbe quanto riportato nei testi citati.
La pizza licatese è sempre stata considerata un riempitivo, un sotto prodotto della panificazione domestica. Veniva realizzata, specie per la merenda dei bambini, con l’impasto di grano duro avanzato dalla preparazione del pane, condita in maniera estemporanea con gli ingredienti che si trovavano a portata di mano in tutte le cucine, cotta a fiamma viva nel forno a legna, che si stava preparando per il pane.
L’antenata della pizza licatese potrebbe essere la Scacciata: un dischetto di pane che veniva cotto velocemente sul pavimento del forno dopo che era stato ripulito dalle braci per fare posto al pane. Una volta che il disco di pane si gonfiava veniva tagliato a metà per essere condito (cunzato) con olio di oliva e sale ma anche con ricotta, pepe, sarde salate, pecorino, caciocavallo.
Una focaccia molto simile potrebbe essere coeva del pane, la cui presenza in Sicilia si fa risalire al 3000 avanti Cristo.
Il pomodoro arriverà in Sicilia molti secoli dopo: bisognerà aspettare il XVIII secolo perché diventi di uso comune.
Ma veniamo agli ingredienti con cui realizzare un’autentica pizza licatese. Come detto l’impasto era quello del pane, quindi di grano duro.
L’impasto veniva spianato a mano, senza l’uso di matterello, né di altri strumenti: schiacciando con le dita veniva data una forma allungata, perché doveva trovare posto sulle stesse “pale” su cui veniva cotto il pane.
A questo punto veniva condita con gli ingredienti che si trovavano a portata di mano in cucina. La pizza licatese era, infatti, una preparazione improvvisata, che si realizzava con quello che c’era: i condimenti erano quei pochi ingredienti poveri a disposizione in tutte le stagioni e non erano legati a particolari ricorrenze o dettati da ricette.
Il primo ingrediente era la sarda salata licatese, sicuramente presente in tutte le case, che dissalata, pulita e spezzettata, veniva infilata nell’impasto; stessa sorte toccava all’aglio fresco sminuzzato, l’aglio tuttavia poteva essere sostituito, quando disponibile, dalla cipuddetta: la cipolletta lunga siciliana.
Il pomodoro non poteva essere che quello licatese: ‘u buttiglieddu fresco in estate, o quello che si poteva trovare appeso, proprio all’imboccatura del forno, durante tutto l’anno.
Un’abbondante spolverata di formaggio locale grattugiato, quindi un pecorino, piuttosto che il Caciocavallo di latte vaccina, proveniente dal ragusano. Non possono mancare le erbe aromatiche: il basilico fresco, quando disponibile, ovvero l’origano secco durante l’inverno. Infine, un filo d’olio extra vergine di oliva. Abbastanza usuale l’aggiunta di un’oliva nera (passuluni) posta al centro, un po’ meno l’utilizzo dei capperi sotto sale. La cottura avveniva a fiamma viva nel forno a legna, che si stava preparando per il pane: da qui le bolle enormi e il cornicione bruciato.
La pizza licatese è una delle poche preparazioni tradizionali che è in qualche modo sopravvissuta all’invasione di prodotti alieni. Viene tuttora realizzata da numerosi panifici e dalle pizzerie, anche se proposta con nomi diversi e con numerose varianti, per farne una pizza da servire al piatto.
Purtroppo gli ingredienti locali utilizzati sono sempre meno, perché soppiantati da versioni più economiche o di più facile utilizzo. Tuttavia, utilizzando soltanto ingredienti autoctoni si potrebbe realizzare un prodotto unico ed inimitabile che potrebbe essere un’ulteriore occasione per sostenere la crescita del turismo enogastronomico di qualità, sempre più presente a Licata.
Sul gruppo facebook.com/groups/YESnewsSICILIA potrete scegliere il nome che preferite.
Comunque la chiamate Fuazza, Fuata o Fauzza l’importante che sia licatese al 100%. » Francesco Lauricella
24 marzo 2018