Discuteremo del sesso ma non di sesso. Una questione spinosa, che ha messo contro intere città, le une contro le altre, in un conflitto insanabile: una questione tutt’altro che angelica.
Il sesso di cui discuteremo è quello di una specialità gastronomica: l’arancina.
Ma si dirà proprio arancina? O si dice arancino? Proveremo a districare questa annosa questione, che divide la Sicilia peggio delle sue strade sgarrupate.
Partiamo da lontano: la Sicilia è terra di divisioni, la prima la più importante divisione è fisica, geografica. Voi avete già capito a cosa mi riferisco: il Salso. Nasce nelle Madonie e lento e tortuoso, a volte ribelle, giunge a sfociare nel profondo sud delle coste agrigentine.
Sulla cartina geografica è una linea più storta di un ulivo, ma con l’efficienza di un freddo rasoio divide la Sicilia in due dalla notte dei tempi fra Sicilia Occidentale e Sicilia Orientale. Ma questa è la natura e non ci possiamo fare niente.
Ma dove invece potremmo intervenire, perché è colpa dell’uomo, è nella divisione che contrappone da secoli la parte est da quella ovest dell’Isola. Che mette famiglie contro famiglie.
Avete già capito a cosa mi riferisco, alla più antica delle divisioni siciliane: si dice arancino o arancina?
In confronto le altre divisioni sono scaramucce di paese.
Da secoli, le tifoserie si sono create ed affrontate sui temi più svariati: Pasta alla Norma contro Pasta con le sarde; I Viceré contro il Gattopardo; la Seattle del sud contro la capitale del Regno delle due Sicilie; fino ad arrivare alla tifoseria che contrappone nel calcio, con alterne fortune, la squadra del Palermo a quella del Catania.
Mentre per altre ricette qualcuno prova a rivendicarne la primogenitura sugli arancini non ci sono dubbi: ad inventarle non sono stati né i catanesi né i palermitani, bensì gli arabi.
Durante i pranzi si poneva al centro della tavola un vassoio di riso profumato allo zafferano, ogni commensale teneva sul palmo della mano un po’ di riso, che condiva con verdure, odori e dei pezzetti di carne. Per renderlo conservabile gli arabi ne fecero una palla simile ad una arancia, che impanata e fritta acquistò consistenza, in modo da resistere al trasporto.
A Palermo e nella Sicilia Occidentale si chiama arancina dall’altra parte arancino. E viene realizzato in forma conica.
Quando il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha dovuto affrontare la questione per inserire l’arancino nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani ha optato per il nome di “arancini di riso”.
Lo stesso ha fatto Andrea Camilleri, nella sua prosa e, cosa più importante, nel dare il titolo ad una delle raccolte di racconti del suo commissario ha preferito la declinazione maschile: Gli arancini di Montalbano.
Questi due indizi non hanno scoraggiato i palermitani che hanno continuato a chiamarle arancine.
Lo chef due stelle Michelin Ciccio Sultano (la foto è della sua arancina), ad esempio, non ha dubbi “La rotondità nell’immediato fa pensare alle morbide forme di una donna. Ragion per cui l’arancina è femmina”.
In realtà, a districare la questione ci avevano pensato i Borboni, classificando l’arancinu come un diminutivo del frutto aranciu. “Dicesi di vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia” così riporta il Dizionario Siciliano-Italiano, Giuseppe Biundi, Palermo, edito dai Fratelli Pedone Lauriel, nel 1857.
La questione infatti è abbastanza chiara, l’arancino è una piccola arancia, prende la sua forma dal frutto. In siciliano l’arancia è maschio: si dice aranciu e, di conseguenza, arancinu al maschile.
Quindi è indubbio che se dalle vostre parti, come nel resto del Paese, l’arancia è un frutto che si declina al femminile, l’arancina sarà femmina. In Sicilia il frutto è un sostantivo maschile e si declina al maschile aranciu e di conseguenza va declinato al maschile anche l’arancinu.
Comunque la pensiate gustatevi gli arancini. Ma meglio al burro o alla carne? Questo interrogativo non è da meno, nel frattempo meglio prenderne due. » Francesco Lauricella
13 dicembre 2015
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