Il tre febbraio è uscito “D’io”, sesto album in studio di Dargen D’Amico, vero e proprio veterano della scena hip hop.
13 tracce intrise di storie incredibili tratte dalla quotidianità che ci circonda, vista con occhi diversi e raccontate in una chiave a metà strada tra la fiaba e il paradosso.
Un esempio su tutti? Nel brano “La lobby dei semafori” quasi non si arriva a comprendere bene di chi si stia parlando: “avete presente quando avete fretta di arrivare di corsa in un posto e vi trovate la sequenza interminabile di semafori rossi? Ecco, io ho un brutto rapporto con i semafori e penso sia questo il motivo per cui mi ostacolano: preferisco arrivare in ritardo per colpa mia che per colpa dei semafori, quindi faccio strade anche più lunghe pur di evitarne il maggior numero possibile. Il brano potrebbe essere chiamato anche “L’hobbit” dei semafori: dentro il semaforo c’è sicuramente un nanetto che quando vede che mi avvicino comincia ad urlare a tutti gli altri!”
A proposito del titolo afferma che “quando si cominciava a pensare alla scrittura del disco ho deciso di guardare ciò che avevo fatto fino ad oggi, i dischi nei dieci anni di canzoni e andando a stringere quello che ho riconosciuto nei brani era una scrittura che oscillava tra il personale, universale e particolare: non c’era titolo più adatto per racchiudere il tutto. L’apostrofo segnala anche il cognome e il fatto che sia un singolo, al singolare.”
A proposito del percorso che sta seguendo il rap in Italia afferma che si tratta di “una bolla, sicuramente, ma da piccolo passavo giornate a giocare con le bolle, incantato! Ci sono artisti che rimarranno anche dopo lo scoppio della bolla, hanno iniziato da molto prima della nascita della suddetta: quando la bolla scoppierà rimarranno gli artisti veri. L’affermarsi e il dilagare del rap è stato molto utile in un momento in cui gli artisti italiani si erano adagiati sugli allori: credo abbia aiutato tutti gli artisti italiani a rileggersi e a cercare di trovare nuove traiettorie, vorrei far riconoscere il valore di questi ultimi quattro/cinque anni del rap italiano. Le fanzine, le webzine parlano di rap cercando di fare gossip o trovare i difetti; si tratta di un genere antipatico alle radio; stiamo per assistere alla visione della carcassa del rap ma poi tornerà: sono cicli inarrestabili!”.
Quando si parla di Sanremo mi spiazza un po’ dicendo che “per la prima volta quest’anno avevo intenzione ma non è stato possibile per questioni logistiche di spazi, ma avevo una fortissima tentazione di presentarmi a Sanremo. Adesso mi sembra inutile dire quale brano avrei portato, ma nell’album ce ne sono un paio a cui avevo pensato quando si ragionava su quale presentare.”
Un album da ascoltare con attenzione, cercando di comprendere davvero il senso delle parole: in “Modigliani” o in “Essere Non è Da Me”, come in “Io, Quello Che Credo” (che rimanda, in qualche modo al titolo stesso dell’album) ci sono molte verità celate dietro “paraventi” di parole.
Un artista impenetrabile dietro le lenti colorate dei suoi perenni occhiali da sole, che però riesce ad aprirsi molto bene al mondo attraverso le parole, di cui ama profondamente il suono e che, a quanto pare, riesce a manipolare decisamente bene. » Chiara Colasanti
TW @lady_iron
5 febbraio 2015
Si ringrazia Simone Locci (TW @RandyMarshBass) per le foto della conferenza stampa.
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